Il progetto Il peso del passato. Fascismo e nazismo nel racconto televisivo RAI e Mediaset, ha l’obiettivo di analizzare i modi in cui la televisione italiana ha raccontato l’esperienza del regime fascista e di quello nazionalsocialista, nel corso di 70 anni di storia d’Italia (dal 1954, anno d’inizio delle trasmissioni televisive RAI al 2022), influenzando narrazioni di comodo, percezioni errate, stereotipi e usi pubblici del passato. Quale memoria televisiva è stata veicolata al grande pubblico e come sono mutati nel corso del tempo i modi di rappresentare il fascismo e il nazismo, da parte del medium televisivo? È possibile che un programma televisivo (un documentario, una fiction, una serie), riesca a raccontare la storia e che possa farlo in maniera intelligente e critica? Rispetto ad alcuni momenti particolarmente drammatici nella storia del Novecento, come l’avvento e il consolidamento della dittatura, gli storici possono ancora permettersi il lusso di rimanere estranei alla comunicazione e al racconto televisivo, là dove i mass media hanno da sempre un ruolo fondamentale nel costruire la memoria collettiva di un Paese?

Da tempo gli storici cercano di rispondere a queste domande, indagando il rapporto che esiste tra storia e televisione, essendo obbligati a confrontarsi con le narrazioni che i media danno del passato.

Non c’è dubbio, infatti, che la storia goda oggi di una gran fortuna come genere televisivo e che abbia acquisito un ruolo sempre più rilevante nella comunicazione contemporanea. La storia è scenario di serie televisive di successo, oggetto di programmi di infotainment, protagonista di programmi di approfondimento e di divulgazione (molto spesso realizzati da canali tematici che fanno della Storia un importante genere della narrazione audiovisiva). Senza contare i numerosi Festival dedicati alla storia con buon successo di pubblico e il fatto che la storia fornisca sempre più spesso l’ambientazione per racconti, romanzi o fumetti.

Persiste, tuttavia, il problema (rilevato più volte sulle pagine del Corriere della Sera) di storici che si dimostrano ancora incapaci di comunicare col grande pubblico, che vedono nella divulgazione uno svilimento della propria disciplina, e che non possiedono gli strumenti per interagire col discorso pubblico sulla storia; non ragionano sull’immaginario che li circonda, sulle questioni aperte che la contemporaneità pone ai loro occhi.

Gli storici, e specialmente i contemporaneisti, sono dunque chiamati a porsi il problema di come comunicare, trasmettendo il proprio sapere al grande pubblico entrando in contatto con chi si nutre di queste narrazioni, ma senza tradire la scientificità della disciplina che è fatta di rigore, di fonti e di metodo,. Una questione che uno storico come Claudio Pavone, portava al centro del dibattito già diversi anni fa nel corso di un convegno organizzato dalla RAI dal titolo Come raccontare la storia in TV. UN seminario di Rai educational, 20 febbraio 1997 (atti ad uso interno ma consultabili presso la Biblioteca di Via Teulada). Nel corso di quelle giornate di studio, Pavone invitava gli storici a lavorare non solo come consulenti ma a scrivere per la televisione come autori televisivi, nella costruzione di programmi di approfondimento e di documentari, evocando la nascita di una nuova figura professionale “garantita dall’istruzione universitaria e dalle strutture produttive della RAI”. Una nuova figura di autore di programmi di storia, consapevole delle problematiche legate all’utilizzo delle fonti, delle metodologie, dei dibattuti, degli strumenti propri della professione dello storico”, che avesse anche la “capacità di controllare e conoscere le potenzialità dei vecchi e nuovi mezzi di comunicazione”. In altri termini, un mediatore che fosse “capace di progettare un’efficace comunicazione di storia, con i mezzi che la tecnologia mette a disposizione, adeguata al livello di conoscenza raggiunto nelle sedi di ricerca e destinata ad un pubblico vario ma, di norma, non di specialisti”.

Nel tempo l’auspicio di Pavone è stato raccolto da una nuova generazione di storici che sente come dovere non solo (o non tanto) quello di scrivere o di parlare agli addetti ai lavori e di comunicare con eruditi del proprio livello, ma che cerca di rendere fruibile e traducibile il proprio sapere (anche in maniera accattivante e seducente) per chi di storia ne sa poco o nulla. Del resto come è possibile che uno storico contemporaneista non guardi alla televisione che è il più grande costruttore di memoria pubblica (e di storia pubblica) e che è fonte stessa per raccontare la storia del ‘900 (dal momento che noi conosciamo i fatti e ce li immaginiamo, proprio per come la televisione ce li ha raccontati)?

La televisione non è solo un mezzo di diffusione e di comunicazione, ma plasma la nostra memoria collettiva sul passato, il nostro modo di immaginare e rappresentare il passato. Senza contare che televisione con le nuove piattaforme digitali, i canali tematici in stream (specie negli anni di pandemia), sono ormai entrati a far parte della vita di studenti e insegnanti come validi strumenti didattici, come dimostra l’offerta di prodotti di Rai Cultura e il canale Raiplay #Learning: La scuola non si ferma.

 

Ma qual è stato (e qual è ancora oggi) il ruolo dei mass media e della televisione nella costruzione della memoria collettiva sul passato fascista? È proprio ragionando su questi interrogativi che il gruppo di ricerca, ha iniziato la sua indagine sulle fonti archivistiche audiovisive e sulla produzione storiografica (scientifica e divulgativa). E come si vedrà più avanti nella sezione dedicata alla ricerca per le Teche Rai e Mediaset, il racconto televisivo (insieme alla stampa e in genere ai media) ha contribuito fortemente a veicolare nell’opinione pubblica miti duri a morire come quello del “bravo italiano”, del “cattivo tedesco” o di un “Mussolini vittima di Hitler”, molto spesso facendo leva su aspetti sensazionalistici del passato, su misteri o segreti. Esemplari, in tal senso, alcune puntate del programma prodotto da Rai3 La Grande Storia dedicate ai tanti misteri che si celavano dietro la follia di Hitler o ad altre puntate dello stesso programma che hanno dato ampio spazio agli amori del Duce, cercando di attrarre lo spettatore medio parlando di trasgressione, di morte e di sesso. Prodotti quasi sempre affidati alla conduzione/narrazione di giornalisti, come nel caso del programma di Gianni Bisiach, andato in onda negli anni ’90 su Rai1 Le grandi battaglie della Storia (l’assedio di Leningrado, l’attacco all’Europa, la guerra lampo, la guerra in Nord Africa e la battaglia di El Alamein), ricostruite attraverso documenti riservati, filmati inediti accanto a immagini di sofferenza e morte per raccontare come in un film gli orrori della guerra, con la quasi totale esclusione degli storici come autori o consulenti.

Certamente non si può negare che la televisione, soprattutto a partire dagli anni ’90, abbia cambiato rotta portando sul piccolo schermo quelle che erano le novità degli studi sul fascismo e sulla Shoah. Si pensi al documentario del 1997 Memoria. I sopravvissuti raccontano, curato da Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto, trasmesso su Rai2 con grande successo di pubblico: oltre 7 milioni di telespettatori. Un risultato che certamente risentiva degli ascolti del film di Steven Spielberg Schindler’s list (trasmesso su Rai1 con 12.3 milioni di telespettatori e il 50% di share) e dell’uscita al cinema della pellicola di Roberto Benigni, La Vita è bella, ma che dimostrava anche un cambio di passo nella sensibilità degli italiani intorno al tema della Shoah, complice anche una nuova politica della memoria favorita dal governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi.

Le stagioni televisive sono state non di rado influenzate dagli eventi storico-politici che hanno accompagnato la definizione delle politiche della memoria e il tentativo di riscrivere il calendario civile (ad es. per la Giornata della Memoria 27 gennaio; il Giorno del ricordo, 10 febbraio). Si è dunque deciso di riservare delle specifiche sezioni del webdoc – obiettivo finale di questo progetto di ricerca – agli eventi politici che hanno segnato il dibattito sulla memoria pubblica del fascismo, dagli anni ’50 ad oggi.

Il webdoc (obiettivo finale di questo progetto) contiene dunque una parte dedicata alla nuova stagione inaugurata dalle politiche della memoria messe in atto negli ultimi anni dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha provato a farsi portavoce di una memoria europea riconciliata, inaugurando una nuova stagione del discorso pubblico incentrato sulla rivalutazione dell’antifascismo e della Resistenza che ha lasciato molto spazio alla memoria della Shoah.

Una stagione che nel 2015 ha visto Mattarella recarsi in visita alle Fosse Ardeatine, luogo simbolo della memoria della Resistenza, rifiutando il “gesto compensativo”[1] di recarsi in visita alle vittime delle foibe. Oppure all’estate del 2020, quando il Presidente della Repubblica si è recato a Basovizza col Presidente sloveno e al ceppo che ricorda la morte dei 4 fucilati dal Tribunale fascista, riconsegnando alla comunità slovena il Narodni Dom, la casa del popolo data alle fiamme dai fascisti nel 1920.

Il tentativo è di osservare il racconto sul fascismo e sul nazismo da una prospettiva diversa – la memoria televisiva e il racconto pubblico sul passato – e di farlo attraverso fonti audiovisive preziose, finora mai consultate.

Il ruolo che i mass media hanno nel definire la memoria collettiva del passato è del resto un tema di recente tornato all’attenzione del dibattito storico, come dimostra il convegno promosso nel 2021 dalla SISSCALT e dal Centro culturale italo-tedesco di Villa Vigoni, Quale storia per il grande pubblico? Il fascismo e il nazismo tra storiografia e media, che ha visto confrontarsi storici, giornalisti e esperti di comunicazione sia italiani che tedeschi.

Come già segnalato nel 2012 dal Rapporto finale della Commissione storica italo-tedesca, esiste del resto uno scarto rilevante tra il piano della ricerca storiografica, con acquisizioni ormai consolidate rispetto all’avvento del regime fascista e al periodo di guerra 1939-1945, e ciò che la narrazione mediatica veicola nell’opinione pubblica, anche per mezzo dei social media.

Il progetto di ricerca vuole dunque recepire quelle raccomandazioni della Commissione bilaterale italo-tedesca che indicava chiaramente la necessità di superare le barriere tra le memorie nazionali, italiana e tedesca, e gli stereotipi reciproci che ancora pesano sulle relazioni tra i due stati e tra i loro cittadini.

Privilegiando le fonti audiovisive come oggetto d’indagine storiografica sul passato fascista, il progetto vuole sollecitare una riflessione su quelle ricostruzioni e rimozioni dettate da interessi politici ed esigenze nazionali.

Ciò nell’idea che solo un processo di decostruzione delle memorie nazionali e un’attenta analisi delle politiche della memoria, messe in atto dai governi postbellici dei due paesi per superare i traumi del conflitto, potrà favorire un superamento degli stereotipi reciproci e narrazioni convenzionali, consolidati nel secondo dopoguerra.

[1] Cfr. F. Focardi, Nel cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe, Viella, Roma 2020.