1943

8 settembre

Con un comunicato radio diffuso la sera dell’8 settembre, viene annunciato agli italiani l’armistizio con gli Anglo-americani. Nel Paese non è stato predisposto alcun piano per fronteggiare le truppe tedesche stanziate in Italia e sugli altri fronti di guerra.

L’esercito della Wehrmacht, assieme ai reparti di SS e altri consistenti nuclei di polizia politica (circa 1 milione di soldati), ha così modo di occupare l’Italia nel giro di pochi giorni. Per l’esercito italiano, abbandonato dai comandi dello Stato maggiore e lasciato senza ordini, inizia lo sbandamento e molti militari trovano in montagna un rifugio naturale, dando vita alle prime «bande di ribelli», primi nuclei della Resistenza. I soldati sbandati devono fare una scelta anche all’estero: continuare a combattere a fianco dei tedeschi, cedere le armi oppure resistere. Il 22 settembre 1943 la Divisione «Acqui» viene sterminata a Cefalonia nonostante la resa, dopo giorni di sanguinosi combattimenti. Per essersi rifiutati di giurare fedeltà al Terzo Reich, sono oltre 600.000 i militari italiani deportati in Germania: respinte le promesse di rimpatrio e di aiuto alle famiglie, in cambio dell’adesione alla Repubblica sociale italiana, il loro atto di resistenza civile li condannerà a essere sfruttati come forza lavoro nell’industria bellica tedesca, a morire di fame o sotto i bombardamenti che colpiscono i capannoni delle fabbriche.

Entrati a Roma dopo due giorni di duri combattimenti a Porta San Paolo, con un bilancio di circa 700 morti, i nazisti dichiarano la Capitale «territorio in Stato di guerra». Iniziano i rastrellamenti di uomini da inviare al fronte di Cassino o in Germania, le deportazioni di renitenti alla leva militare o del lavoro, le taglie sui primi resistenti. Il 7 ottobre 1943 oltre 2500 carabinieri vengono deportati in Germania. Il 16 ottobre è la volta degli ebrei del ghetto di Roma: su 1.024 rastrellati e deportati in Germania, tra cui 200 bambini, solo 16 faranno ritorno dal campo di Auschwitz.